Parlano i Galli

Parlano i Galli
Mi piace questa terra.
 
È verde e ondulata, gradevole agli occhi, e porta buoni frutti.
 
Meno mi piacciono i suoi abitanti, bassi e tozzi, il volto e l’anima squadrati, lo sguardo sempre chino e rivolto al suolo, pochi avvezzi all'uso della spada, molti a quello della zappa.
 
E allora quando giungemmo qui, da oltre i Monti di Penn ammantati di neve, ingiungemmo loro di continuare a lavorare la terra, e di consegnare a noi i frutti del loro lavoro.
 
Alcuni provarono a ribattere… alcuni presero le armi…
 
Ah! Che lotta impari, che giocoso diversivo fu allora, per noi!
 
Le altre tribù della nostra stirpe ci hanno dato il nome di Senoni, che significa gli Antichi, perché il nostro nobile lignaggio scorre diretto da un lontano passato, un passato di Dei ed Eroi, di grandi e indomiti guerrieri!
 
Da tutta la terra vengono a implorarci di offrire le nostre spade, e sempre noi rispondiamo con gioia, perché solo combattendo e coprendoci di gloria renderemo onore ai nostri antenati e al nome che portiamo, cosicché continui a risuonare in eterno nei canti dei Bardi!
 
…ma sempre per un lauto compenso, perché il prezzo delle nostre spade è commisurato al nostro valore, e all'onore di averci tra le proprie schiere deve corrispondere un giusto prezzo.
 
Mio nonno ha combattuto nell'Isola dei Tre Promontori per i tiranni di Siracusa, e mio padre ha messo la sua spada a servizio di un grande signore di una terra lontana, oltre il mare, dove il sole è un’enorme sfera di fuoco e draghi dalle scaglie impenetrabili nuotano pigramente nelle acque di un fiume immenso e limaccioso.
 
E quando nessuno richiede i nostri servigi, perché l'inattività non ci renda molli ed imbelli ci lanciamo in gioiose scorrerie, e andiamo a saccheggiare le terre dei Rasenna, gli Uomini di Bronzo, e di quelli che una volta erano i loro sudditi, i Rumac.
 
Non potevamo quindi non rispondere all'appello dei Sanniti… il loro condottiero, dal volto duro e tormentato, parla col sentimento di un Bardo… e l’occasione era troppo ghiotta!
 
Che ridere -oh Dei!- sedersi nella tenda del consiglio di guerra con accanto i capi degli Umbri e dei Rasenna… percepire i taglienti sguardi colmi di odio e di timore che ci lanciano di sottecchi!
 
Che allegria, che gioia per i nostri cuori!
 
E che divertimento pungerli con sagaci motteggi, senza che possano replicare!
 
…poiché essi temono e odiano i Rumac più di quanto odiano e temono noi, e parimenti sono stati convinti dai discorsi appassionati del signore dei Pastori Guerrieri.
 
Ma non è il ricco bottino che Gellio Egnazio ci ha promesso, non è l'argento con cui ha già riempito i nostri forzieri che ci spinge nello scendere in guerra al suo fianco… e forse non è nemmeno la luce dell’esaltazione che trabocca dai suoi occhi, l'urgenza delle sue parole, quando parla della riscossa contro i Rumac…
 
Mai, mai prima d'oggi tanti popoli diversi si sono uniti per affrontarsi in un unico, grande scontro!
 
Come potremmo noi, i Senoni, gli eredi degli Antichi Eroi, tirarci indietro?
 
Sarà una lotta epica e senza eguali, sarà una battaglia tremenda e magnifica, e le nostre lame canteranno la canzone della guerra, la canzone del valore, la canzone della furia!
 
Il rombo del tuono di Taranis risuonerà nelle ruote nostri carri lanciati in folle galoppo, e col vento nei capelli innalzeremo fino alle nubi il peana della vittoria!
 
Perché è certo, saremo noi, i Senoni, della stirpe dei Celti, i signori indiscussi della più grande delle battaglie… la Battaglia delle Nazioni!